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.Era una foresta dialberi enormi, abeti vecchissimi con il tronco madido di muschio.Faggi dal troncodritto, alti forse trenta metri.Sarebbe stato bello attraversarla in una giornata di sole, ma sotto la pioggia erabuia e il suo odore di marcio più forte delle sigarette dell'armeno.Ogni tanto, in unospiazzo disboscato si vedevano dei ruderi; ruderi di case che erano state fatte saltarein aria.Sui passi c'erano casette dai tetti rossi con insegne su cui si leggevano marchedi birra e sigarette.Erano occupate dai soldati, erano postazioni militari guardate dacingolati.A Novlocy, sull'ultimo colle prima di scendere alla valle di Tuzla, su unpoggio spianato dalle ruspe c'erano tre grossi cannoni difesi da mucchi di sacchi e dateloni mimetici.Lungo la strada, appoggiati ai loro mezzi, aspettavano centinaia disoldati.Chiacchieravano tra loro.Fumavano, bevevano dalle lattine, mangiavanodolci.C'era un fiume di involucri di dolci, lattine schiacciate, pacchetti di sigarettevuoti lungo quella strada.Qualcuno orinava contro i paracarri.Quei soldati erano molto giovani.A differenza degli altri che avevamoincontrato, indossavano divise tutte uguali, e anche infradiciate dalla pioggiasembravano nuove di zecca.Avevano grossi fucili di precisione in spalla e pistolemitragliatrici alla cinta.Zingirian andava a passo d'uomo e conversava con quei ragazzi.Parlavaallegramente, forse scambiava saluti.Faceva una strana impressione vedere comesembravano contenti tutti quanti.C'era qualcosa di divertente, lì attorno, che nonriuscivo a vedere; forse il divertimento era nascosto nel folto della selva, ma nonc'era niente di tranquillizzante in quei risolini.Sembravano quelli di ragazziniangosciati che ritrovano i genitori dopo essersi persi. Lì a Novlocy siamo stati fermi un bel pezzo, incolonnati dietro due camiondella Croce Rossa.Zingirian è sparito; io avevo l'ordine di stare immobile e di nonprovare a mettere il piede nemmeno sul predellino.Alle portiere dei camion dellaCroce Rossa c'erano soldati con il mitra puntato.Pioveva, ma ricordo che avevo setequel giorno, e che non c'erano più bottiglie d'acqua sul camion.Il té era finito giàdalla mattina.Zingirian alla fine è tornato, ha messo in moto e ci siamo levati di torno.Mentre girava la chiavetta mi ha guardato con quel suo dolce sorriso armeno.VoleviTuzla, genovese? Eccoti Tuzla.Ha acceso la radio e si è messo a canticchiare.Nonmi ha sorriso come gli avevo visto sorridere ai soldati.E così abbiamo passatol'assedio.I camion della Croce Rossa sono entrati in città due giorni dopo.Ascolta, Jibril, Tuzla era sotto assedio da due anni e quello era il penultimogiorno.Non lo sapevo, non lo sapeva ancora nessuno in città, non lo sapeva nessunosul monte dei cannoni.Siamo entrati, e passando Zingirian mi indicava le vecchie miniere di sale.Siamo entrati e i militari che sbirciavano fuori dalle trincee attorno alle fabbriche nonci dicevano niente.Nelle fabbriche tutto era fermo e c'era molto silenzio; neppure gliuomini che ci facevano segno di proseguire facevano rumore.Tuzla era una cittàmolto silenziosa quella sera.Era anche una città molto poco illuminata.Una città coni sacchetti di plastica al posto dei vetri alle finestre e i sacchetti di sabbia al posto deiportoni.Una città senza più alberi nei viali, senza intonaco ai muri.Tutto quello che sapevo allora di Tuzla l'avevo trovato in un dépliant che miero procurato prima di partire.Il dépliant risaliva al tempo di Tito e aveva i coloripiuttosto smorti.Si vedevano una moschea, una chiesa, un impianto petrolchimico,un grande albergo e una ragazza che faceva passerella con un lungo vestito orlato dipelliccia.La ragazza era bella ed era bello anche il suo vestito, ma in generale Tuzlasembrava in quel dépliant una città che avesse bisogno di una rinfrescatina.Quello che adesso so di Tuzla, invece, me lo ha raccontato un generale lastessa notte che siamo entrati.Era uno dei capi della difesa della città, era grosso, aveva dei baffi grigi che gliarrivavano sul mento ed era pelato.Abbiamo passato una buona parte della notteassieme, io, lui e Zingirian.Il generale era l'uomo di Zingirian, era il suo contatto; nel camion avevaportato qualcosa per lui.Non so cosa potesse essere, ma il generale pelato è statomolto contento di averlo.Lo abbiamo incontrato nella città vecchia, in un vicolo di case di legno pocodistante da piazza Kapija, la bella piazza Kapija.Ci hanno portato due soldati,anziani soldati con ancora la divisa della vecchia Iugoslavia.Non erano entratebombe o mitragliate in quel vicolo, e tutto era in ordine e per niente sbiadito.Dovevaessere stato un bel posto per una birreria o una trattoria con i tavolini sul selciato, oraera un buon posto per il quartier generale. Behram, si chiamava il generale, e ha fatto festa a Zingirian, e mi ha stretto lasua grossa mano sulla spalla per darmi il benvenuto. Welcome in Tuzla, ginuese.Il genovese ero io.Nel suo quartier generale abbiamo mangiato un piccolo pane ciascuno, conditocon il sale di una ciotola.Ma poi abbiamo mangiato anche carne in scatola e peschesciroppate, e bevuto acqua e birra mischiate assieme.E quando si è fatto buio sonostate accese delle lampade a cherosene [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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